Il 9 e 10 febbraio si sono svolti a Castenaso i Campionati Italiani di iaido, individuali e a squadre.
Hanno partecipato quasi una settantina di iaidoka per gli individuali e nove squadre per la gara a squadre, arrivati da molte parti d’Italia, da Torino a Vicenza a Catania.
Dal 2012, quando ho partecipato ai Campionati a squadre a Bergamo, non ne ho mancato uno, nonostante negli anni si siano presentati acciacchi e contrattempi vari. C’è qualcosa di confortante nell’incontrare, anno dopo anno, tante persone con cui si condivide la passione per questa disciplina marziale, attraverso allenamenti, seminari e anche gare, in giro per l’Italia. È bello vedere persone che ci tengono tanto a partecipare che si sobbarcano faticosi e lunghi viaggi, per poter partecipare a un solo giorno di gara, o da tirare nonostante vistosi bendaggi (a proteggere un pollice ustionato, certamente molto doloroso).
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C’è un clima di amicizia, quasi familiare, mentre si fa il saluto iniziale, gli arbitri schierati di fronte ai competitori, le battute volano da un lato all’altro.
I nostri maestri ci ripetono sempre che la gara è uno dei modi per crescere nella pratica. Come ci disse Yamazaki Takeshige sensei, in occasione dei Campionati Europei a Budapest, e come ci è stato ricordato domenica, “non si deve pensare che si pratica per migliorare nelle gare, ma si gareggia per migliorare nella pratica”. Ci viene spiegato che la gara non è contro un’altra persona, bensì contro noi stessi, per cercare di fare il meglio che possiamo. È facile da capire dal punto di vista intellettuale ma talvolta può essere difficile da mettere in pratica.
Durante la gara a squadre, in una pool molto difficile (come del resto anche le altre), dopo aver discusso con i compagni di squadra fino all’ultimo momento per decidere la formazione più opportuna, ci schieriamo; io tiro come Chuken. Attendo che finisca l’incontro tra i Sempo, ed entro nell’area. Mentre scendo in seiza per il primo kata, Ushiro, mi rendo conto che, impegnata a portare la formazione ai giudici di gara, non ho fatto caso a chi, della squadra avversaria, sta nell’area rossa a fianco a me. Lo sguardo periferico non basta; la rotazione per sfoderare in Ushiro non mi consente di vedere l’area rossa; girarsi a guardare è fuori questione.
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Ho avuto un istante di smarrimento: contro chi sto tirando? Solo un attimo, poi la risposta: che differenza fa? La persona di fianco a me non è un avversario: è qualcuno che pratica come me, senz’altro ci siamo allenati insieme in tante occasioni e non è affatto un avversario. Il mio avversario reale (anche se immaginario!) si è reso subito evidente: un po’ come il Terminator di metallo liquido (come ci ha suggerito Kinomoto sensei l’anno scorso) si è materializzato sullo shiaijo. La persona che sta tirando di fianco a me non è un avversario (avversaria?), anzi, con l’impegno della gara mi aiuta a migliorare. L’importante è che io riesca a fare il meglio che posso, per mettere in pratica quello che i miei maestri mi insegnano e che i miei compagni di pratica mi aiutano a cercare di realizzare.
L’incontro è finito; nel secondo taglio di Sanpogiri, finalmente ruotando verso sinistra, ho visto la persona con cui ho gareggiato. Gli arbitri alzano le bandierine: ho vinto? Ho perso? Ma, alla fine, è importante? La domanda vera è: ho fatto il meglio che potevo fare?
Un grande ringraziamento agli organizzatori che hanno preparato l’evento al meglio, come sempre, agli arbitri e ai giudici di gara, ai miei maestri e ai compagni di pratica.
Anna Rosolini
4 dan, Akitsukai Lucca