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Chi erano i samurai? Introduzione al bushido con Nitobe Inazo

Chi erano i samurai

Chi erano i samurai?

Oggi anche i bambini sanno elaborare una risposta sommaria, descrivendo una figura in kimono armata di spada, collocata suppergiù nel Medioevo. L’equivalente giapponese del cavaliere europeo. Ma è davvero così?

Una domanda che nasce spontanea.

In coloro che hanno compiuto la scelta di dedicarsi alla pratica di un’arte marziale giapponese, prima o poi nasce l’esigenza di saperne di più. In questa sede è difficile fornire un quadro storico accurato, ma infondo non è ciò che maggiormente ci preme. Curiosità e ostacoli per noi praticanti europei nascono dalla stessa pietra di scandalo: l’incontro con una disciplina e un’etica diversi dai nostri, che ci affascinano, che ci mettono piacevolmente in difficoltà. Vorrei perciò approfittare della competenza di qualcuno che ha tentato l’impresa di spiegare il codice etico del samurai, o bushidō, molto prima di me. Prepariamoci quindi a comprendere meglio chi erano i samurai.

 

Samurai Cavaliere

 

 

Chi erano i samurai? Sono davvero scomparsi?

Correva l’anno 1899 quando Nitobe Inazō scrisse Bushidō, un’interpretazione della cultura giapponese che ebbe un grosso impatto sul modo in cui il mondo iniziò a concepire lo spirito militare dei cosiddetti samurai (più propriamente, bushi). È opinione di Nitobe che l’etica giapponese sia emersa da prescrizioni codificate secolari indirizzate alla buke, aristocrazia militare, che aveva contribuito a formare le stesse nozioni di giusto e sbagliato. Verso la fine del libro, egli ammette che il bushidō non sia effettivamente condiviso da tutti i giapponesi, ma rimane convinto che formi comunque sostanzialmente il loro modo di pensare. L’addestramento del bushi secondo Nitobe faceva parte di una cultura spirituale che formava l’anima e trovava dei paralleli nella storia culturale europea, in particolare quella tedesca.

 

Un po’ di chiarezza: bushido, spirito e cavalleria europea.

I guerrieri giapponesi di Nitobe non erano semplicemente “cavalieri asiatici”, perché consideravano la lealtà molto più di quanto non facessero i cavalieri di tutti gli altri Paesi. Nitobe offre una visione dettagliata di pratiche culturali giapponesi legate allo spirito, ad esempio il seppuku, suicidio rituale concesso a un samurai per presentare il suo spirito al mondo. Secondo la cultura dottrinaria giapponese, la sede dello spirito e delle affezioni è lo hara, il basso ventre. Squarciandolo, il samurai poteva liberare il proprio spirito per il giudizio.

Nitobe portò alla luce molte idee giapponesi collegate allo spirito, come l’esatta collocazione, la sua importanza nel suicidio rituale e il fondamento religioso giapponese per il quale l’imperatore era uno Spirito Divino. Le classi della buke, aristocrazia militare, e della kuge, aristocrazia civile, che convogliavano guerrieri e alti funzionari statali, erano state il ceto dominante lungo il periodo del governo shogunale, terminato con la “Restaurazione Meiji”. La scelta di Nitobe di fare riferimento all’etica militare come riassuntiva e caratterizzante l’intera cultura giapponese, non è avventata. I tentativi precedenti di formalizzare il bushidō come un codice universale dei samurai risalivano alla fine del periodo Sengoku (1467-1600) e all’inizio dell’era Tokugawa (1600-1868).

 

Tomoe Gozen
La più famosa donna samurai, Gozen Tomoe, rievocata al Jidai Matsuri di Kyoto

 

 

Chi erano i samurai? Alla ricerca di una risposta nella storia.

In The Samurai Sourcebook, Turnbull chiarisce che gli scritti specificamente dedicati al bushidō si possono dividere in manuali di uso della spada, quindi di tipo pratico, e in trattati più filosofici, nei quali si esamina l’attitudine spirituale necessaria a intraprendere l’arte della guerra.

La stesura di tali manuali si snoda lungo tutto il periodo Tokugawa, attraversando tre fasi: i primi cinquant’anni dopo l’instaurazione del periodo Tokugawa, durante i quali non era certo che vi sarebbero state ulteriori guerre, la seconda metà del XVII secolo, quando la classe ritenuta inferiore, quella dei mercanti, cominciò a prosperare a discapito dei samurai, e il XVIII secolo, durante il quale la classe samuraica fu alla ricerca di un nuovo ruolo sociale, perduto progressivamente nel lungo tempo di “pace”.

Tra i più importanti testi dedicati al bushidō, sicuramente fonti di Nitobe, possiamo ricordare l’ultima lettera di Torii Mototada (1539-1600) al figlio Tadamasa (1567-1628) pochi giorni prima della caduta della fortezza di Fushimi, il Budō shōshinshū (fine XVI sec.) di Daidōji Yūzan (1639-1730), il Gorinsho (1640-1642) di Miyamoto Musashi (1584-1645), il Fudochi Shinmyoroku (XVII sec.) del maestro zen Takuan Sōhō (1573-1645), lo Hagakure (1716) di Yamamoto Tsunetomo (1659-1719).

 

Ideali samuraici, ideali cavallereschi. Alla ricerca delle origini.

Nei lunghi secoli in cui di fatto, se non di nome, ebbe potere politico supremo in Giappone il ceto sociale dei bushi, questo poté sviluppare una propria etica e un insieme di valori intuitivamente condivisi dall’intero popolo giapponese, il che è in qualche modo dimostrato dalla loro progressiva assimilazione (tra fine ‘800 e inizio ‘900) da parte della sempre più potente classe imprenditoriale e mercantile. Nitobe definisce il bushidō come un fiore non meno proprio del suolo giapponese di quanto lo sia il suo emblema, il fior di ciliegio, ma significativamente traduce bushidō, propriamente la via del guerriero, con cavalleria, termine che evoca un’immediata possibilità di confronto con la cultura occidentale, specificando che bu-shi-dō significa letteralmente guerriero-cavaliere-via, ossia i precetti della cavalleria, il noblesse oblige della classe guerriera.

Mentre in Europa la fonte degli ideali cavallereschi può essere considerata unitaria, in Giappone le fonti sono molteplici e gli esiti sincretistici; troviamo infatti nel bushidō principi di condotta pratica derivati da buddhismo, shintō e confucianesimo. Analizzando gli elementi con cui ciascuna di queste correnti di pensiero contribuisce all’elaborazione del codice di vita del guerriero, Nitobe intende dimostrare la profondità con la quale tale codice è radicato nello stile di vita del giapponese contemporaneo e isolare elementi utili per procedere a una comparazione tra bushidō e codice cavalleresco occidentale. Nitobe, cristiano animato da spirito cosmopolita, cerca una sorta di riconciliazione tra la propria cultura, che tende sempre più al recupero di sentimenti nazionalisti, e l’universalismo cristiano occidentale. Se anche il bushidō riassume in sé i caratteri fondamentali dello spirito giapponese, nei quali si sostanzia l’unicità della cultura giapponese, nel corso di tutto il suo lavoro egli mira a dimostrare che le virtù del guerriero giapponese non sono uniche, semmai solo intese in modo diverso che in Europa, principalmente perché, a differenza che in Giappone, l’Europa ha conosciuto la potenza unificante di una dottrina etico-religiosa sistematica, il cristianesimo, che le ha permesso di trasformare in dogmi religiosi le regole pratiche della condotta di vita. Il cristianesimo costituirebbe allora il naturale sbocco dell’etica del bushidō.

 

Le virtù del samurai
Le virtù del samurai

 

 

Chiedersi chi erano i samurai equivale a chiedersi a quali principi si ispiravano.

 

Analizziamo qui una breve panoramica delle sette virtù fondamentali della via del guerriero giapponese.

 

  • , Gi, onestà e giustizia – Sii scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credi nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da te stesso. Il vero samurai non ha incertezze sulla questione dell’onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
  • , Yū, eroico coraggio – Elevati al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L’eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.
  • , Jin, compassione – L’intenso addestramento rende il samurai svelto e forte. È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d’aiuto ai propri simili e se l’opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una. La compassione di un samurai va dimostrata soprattutto nei riguardi delle donne e dei fanciulli.
  • Rei, gentile cortesia – I samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. Un samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini. Il miglior combattimento è quello evitato.
  • 誠, Makoto o 信, Shin, completa sincerità – Quando un samurai esprime l’intenzione di compiere un’azione, questa è in concreto già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l’intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di “dare la parola” né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.
  • 名誉, Meiyo, onore – Vi è un solo giudice dell’onore del samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.
  • 忠義, Chūgi, dovere e lealtà – Per il samurai compiere un’azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario. Egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue. Il samurai è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura. Egli resta fieramente fedele a coloro di cui è responsabile.

 

Le virtù del bushidō sono tutte di carattere sociale, destinate a scomparire in un’epoca in cui si è spostato l’accento sul valore dell’individuo e si sono introdotte filosofie che su esso si basano, come l’utilitarismo e il materialismo empirista di stampo inglese, con le quali soltanto il cristianesimo con il suo codice morale individualistico può convivere. L’Europa è vittoriosa nella visione di Nitobe perché si fonda sull’idea di un’originaria uguaglianza tra gli uomini, che permette al singolo di ritenersi uno strumento necessario per il mutamento e il progresso sociale, senza incorrere negli ostacoli frapposti da una visione gerarchica dei rapporti sociali. Ricordiamo che nel caso del Giappone la massima virtù morale compresa nel codice del bushidō è il dovere di lealtà verso il proprio superiore gerarchico, in nome di un interesse superiore, spesso confliggente con l’interesse o le aspettative individuali. Nel caso di un’indagine di tipo comparativo come quella azzardata da Nitobe, abbiamo un interprete che non appartiene alla cultura di arrivo, ma a quella di partenza, e il suo schema linguistico-concettuale di riferimento è culturalmente condizionato.

 

Prospettive interculturali: noi, non-samurai lungo la Via.

Abbiamo qualche idea in più per rispondere alla domanda “chi erano i samurai?”, ma difficilmente questo basterà a farci provare una sensazione di piena soddisfazione come praticanti. L’interiorizzazione della propria limitatezza rende l’individuo e la cultura in grado di entrare a contatto con l’altro in modo non pregiudiziale. Prendere atto di essere incompleti spinge a ricercare la completezza fuori di sé. Tuttavia, ampliare la propria prospettiva non significa fare interiormente propri tutti i nuovi elementi di cui si viene in possesso esercitando la propria volontà di potenza in ambito conoscitivo: comprendere non significa accettare. Cercare di spogliarsi dei propri pregiudizi culturali prima di affrontare l’incontro con l’altro non significa rinunciare alla propria identità culturale: è impossibile uscire da se stessi.

 

 

L'Autore dell'Articolo

Chiara Bonacina

Bergamasca, laureata in Scienze Filosofiche, poliglotta. Ama il cinema, le arti marziali e il tiro a segno. Pratica iaido dal 2012, fa parte della Nazionale Italiana di Iaido dal 2013. Nel 2021 ha ottenuto la qualifica di allenatrice e quella di arbitro nazionale.

Riconoscimenti

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Riconoscimento del Ministero Affari Esteri Giapponese

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